Il lavoro ripartito

 

Parlando di prestazioni lavorative con orario ridotto rispetto a quello previsto normalmente dal contratto collettivo, l'accento va posto anche su un particolare contratto di lavoro, diverso dal part-time, ma simile ad esso per quanto riguarda appunto l'assenza di tempo pieno: il lavoro ripartito.

Il lavoro ripartito, o job sharing, è uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido l'adempimento di un'unica ed identica obbligazione lavorativa (artt. 41 e ss. D.Lgs. 276/2003). I prestatori si impegnano pertanto a coprire la prestazione lavorativa e possono determinare a tal fine discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra loro, il c.d. vincolo di solidarietà; possono modificare consensualmente la collocazione temporale dell'orario di lavoro, anche per sopperire all'impossibilità della prestazione da parte di uno dei due.

Il contratto di lavoro ripartito deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e deve contenere:

la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei due lavoratori, secondo le intese tra loro intercorse, ferma restando la possibilità per gli stessi lavoratori di determinare, a loro discrezione ed in qualunque momento, la sostituzione tra di loro o la modificazione della distribuzione dell'orario;il luogo di lavoro e il trattamento economico e normativo spettante a ciascun lavoratore;le eventuali misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo d'attività svolta.

 Il datore di lavoro deve essere in ogni caso informato preventivamente e almeno una volta alla settimana, dell'orario di lavoro che ciascun lavoratore andrà a svolgere, per determinare la retribuzione nonché i trattamenti per malattia, infortunio, giornate di ferie godute, ecc.; la retribuzione è corrisposta a ciascun lavoratore in proporzione alla quantità di lavoro effettuato.

 Le dimissioni o il licenziamento di uno dei contitolari del contratto dovrebbe comportare l’estinzione dell’intero contratto, a meno ché il datore non accetti l’ingresso di un altro lavoratore in veste di sostituto (art. 45, co. 5, D.Lgs. 276/2003), ovvero proponga le conversione di un contratto a tempo pieno o parziale con il lavoratore rimasto. Pertanto, la scelta di modificare spetta al datore di lavoro, che può decidere discrezionalmente in ragione delle proprie esigenze organizzative.

  

 Roma 25 ottobre 2010

 

 

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